Cari amici, la serie delle interviste si arricchisce con uno dei più grandi protagonisti del panorama nazionale ed internazionale nell’ambito del Whisky e del Rum: ho infatti l’immenso piacere di pubblicare quest’oggi l’intervista a Max Righi, patron dei marchi Silver Seal e Sestante, le cui selezioni sono state spesso esaminate su queste pagine, nonché di Whisky Antique, importante realtà nell’ambito della commercializzazione di malti rari ma anche altre tipologie di distillati. Al contempo, oltre ad essere un selezionatore e un rivenditore, Max è un celebre collezionista, indi la seguente intervista verterà su molteplici tematiche.
Ringrazio fin da subito Max per non essersi risparmiato e per avermi concesso non poco tempo!
Caro Max, puoi dirci come hai iniziato questo percorso?
È nato quasi per caso, ho sempre avuto la passione per le cose buone: cibo, vino… e il whisky è parte di questo. Una svolta personale la ebbi durante la frequentazione di un master in Scozia, a quei tempi lavoravo per la banca. Dopo il corso girovagavo, visitavo distillerie. Il vero spunto mi venne in un whisky bar, dove il barman, alla mia affermazione che avevo bevuto Glenfiddich, Glenmorangie e similari, mi disse che erano whisky discreti ma che avrei dovuto sedermi perché avrebbe avuto molto da spiegarmi. Si accese in me la classica lampadina, e così decisi di approfondire, comprando e leggendo libri, che a mio parere è la cosa più intelligente che si possa fare. Cercai poi di capire se si potesse far qualcosa di più e se ciò mi desse soddisfazione. Iniziai a viaggiare, approfondire e decisi di iniziare un’attività, pur se non subito. Quando partii, scelsi la denominazione Maltmax, non Whisky Antique (denominazione odierna NdR).
Quindi avevi iniziato a muovere i tuoi primi passi nel settore commerciale… E la scelta di intraprendere l’attività di imbottigliatore indipendente?
Partì tutto dal desiderio di capire se ero in grado di selezionare espressioni diverse e distintive, ero affascinato dall’idea di poter capire se fossi in grado di essere una sorta di talent scout, girando per le distillerie e scovando cask affascinanti da imbottigliare. Al contempo, si verificò che i marchi Sestante e Silver Seal, con il loro storico blasone, erano in vendita, e decisi di acquisirli. Sostanzialmente acquistai il marchio, le giacenze non erano molte, circa una quindicina di botti. Nel tempo, ho aumentato sempre più le selezioni che,ormai, sono facilmente diffuse anche all’estero.
Credi che in quest’epoca di massificazione e globalizzazione, sia ancora un buon periodo per gli imbottigliatori indipendenti?
Assolutamente no, purtroppo. Le botti hanno raggiunto costi astronomici, è difficile trovare cask validi mantenendo un costo accessibile per il cliente, ma è una sfida che mi sento di voler e poter ancora sostenere. Al contempo, io bado sempre alla qualità. Per dirti, quest’anno il mio rilascio è stato quello congiunto con Diego Sandrin e Jens Drevitz, per la serie Antique Lions of Spirits. Ho evitato la linea Silver Seal, almeno per il whisky, perché, pur avendo prodotti validi in magazzino, credo non siano ancora pronti. Non bisogna, secondo me, fare necessariamente rilasci ogni anno se si ritiene che gli imbottigliamenti non siano ancora ottimali. Inoltre, credo che le distillerie abbiano commesso un errore madornale alzando i prezzi in modo folle, dal momento che gli imbottigliatori indipendenti sono sempre stati un veicolo per le loro espressioni meno conosciute, ed ora è tutto più complesso. Si sta un po’ perdendo la magia dell’imbottigliamento indipendente: poter offrire valide espressioni al pubblico, mantenendo un costo contenuto. È una filosofia che ancora dovrebbe permeare l’attività di noi imbottigliatori indipendenti: scegliere sempre la qualità, cercando di garantire la diversità, l’espressività e, se possibile, contenere i prezzi. Personalmente, mi piacerebbe che le persone bevessero le mie bottiglie, non che le comprassero solo per finalità collezionistiche.
A tal proposito, considerato che sei anche un grande collezionista, la tua filosofia in tal senso?
Una spinta me la diede mio padre, collezionista di molti oggetti diversi, principalmente di grandi bottiglie italiane, che riponeva in un mobile meraviglioso. In un angolo notai un Macallan, del 1952 mi sembra, cui non dava molta importanza perché non di rilievo per la sua collezione. Colleziono essenzialmente ciò che mi piace, non mi interessa un whisky solo per la sua rarità. Per dire, non ho un Ladyburn in collezione, dato che è uno stile che non mi ispira. Iniziai a comprare alcune bottiglie ed ho continuato. Mi resi poi conto che raccogliendo bottiglie, mi ritrovavo tra le mani dei beni tangibili, dal costo contenuto, utili anche come forma di investimento meno volatile rispetto, per dire, al mercato azionario ed accessibile un po’ a tutti. La collezione tuttavia l’ho sempre concepita essenzialmente perché i prodotti mi piacevano, e mi piacciono tuttora, non per finalità economiche. Vi consiglio di fare lo stesso, laddove doveste decidere di iniziare a collezionare. Indubbiamente, oggi è più difficile iniziare una collezione di whisky, con determinati imbottigliamenti del passato che hanno raggiunto quotazioni estremamente elevate.
Ritornando all’ambito commerciale: come credi si sia evoluto, in questi anni, il mercato?
Molto è cambiato negli anni: dal boom dei torbati, ad esempio, che 40 anni fa non venivano considerati minimamente in Scozia, gli Scozzesi preferivano bere whisky meno pungenti, dal gusto più morbido, più facili da bere come, ad esempio, i blended che ancora oggi costituiscono gran parte del fatturato delle multinazionali. Oggi si cerca una maggiore varietà rispetto a un tempo, quando il target era più cristallizzato, monolitico, e ciò è di stimolo.
Noi indipendenti lavoriamo in un mercato diverso, di nicchia, dove le persone cercano espressioni più distintive, più caratteriali, e noi cerchiamo di venire incontro alle loro esigenze.
Al contempo, il baricentro del mercato si è spostato dall’Europa all’Asia, dove essenzialmente è possibile trovare una pletora di consumatori “evoluti”, persone che amano e apprezzano il Whisky ma che, al contempo, sono disposti a spendere anche cifre notevoli per una singola bottiglia. Basti pensare al Giappone, a Singapore, a Taiwan o alla Cina, dove il consumo e la consapevolezza sono costantemente in aumento.
Sul fronte dei prezzi, poi, abbiamo visto negli ultimi anni un aumento vertiginoso che tende a realizzare un fenomeno eccessivamente speculativo. I produttori dovrebbero cercare di capire che determinate soglie non possono essere superate e credo, peraltro, che ciò sia già avvenuto. Le persone desiderano bere bene, ma non tutti possono permettersi di spendere centinaia o migliaia di euro per una bottiglia di Whisky. Personalmente, cerco sempre di mantenere il prezzo entro una certa soglia, tuttavia se il cask costa due-tre-cinque volte più di quanto costava solo pochi anni fa, e nel mentre la pressione fiscale e i costi accessori non sono diminuiti, è inevitabile un aumento anche da parte mia, con problematiche per i consumatori che, se fosse possibile, mi piacerebbe evitare. Inoltre, le multinazionali rilasciano forse fin troppi imbottigliamenti molto giovani, inclusi tanti No Age Statement, puntando molto sulla forza storica del brand e poco sull’espressività. Noi selezionatori indipendenti cerchiamo, nel nostro piccolo di supplire a tali problemi.
Cosa pensi del recente annuncio della riapertura di Brora, Port Ellen e Rosebank?
Sono scettico. Un mito dovrebbe restar tale, non vi sono garanzie in merito alla qualità degli imbottigliamenti futuri che verranno, peraltro, rilasciati tra diversi anni. È cambiato un po’ tutto da quando queste iconiche distillerie chiusero i battenti, in seguito alla crisi del mercato (anni 80-90 NdR): i dipendenti, la qualità dell’orzo, dell’acqua… staremo a vedere! Ovviamente mi auguro che le espressioni future possano riscontrare il plauso degli appassionati, intendiamoci.
Quando scegli un imbottigliamento, cosa ti guida?
Adoro poter riscoprire distillerie magari meno note al grande pubblico, i cui malti sovente sono stati impiegati in passato principalmente per i blended: Dailuiane, Royal Brackla, Glenburgie, Mortlach, Fettercairn, Blair Athol… per citarne alcuni. Commercializzare selezioni dei “grandi marchi” quali Bowmore, Macallan ecc… sicuramente ha dato risalto anche alle stesse distillerie, con selezioni mirabili da parte di Samaroli, Douglas Laing, Gordon & Macphail, Cadenhead’s, per citare alcuni dei più significativi, ma oggi come oggi, credo che sia sempre più indispensabile per noi indipendenti offrire al grande pubblico malti di indiscussa qualità, troppo a lungo ingiustamente relegati all’oblio, quali quelli appena citati. Del resto, trovo personalmente più divertente scoprire un cask di un marchio meno noto, ripenso ad esempio al Dailuaine 37 che imbottigliai qualche anno fa, piuttosto che puntare su vecchi Macallan…
Inoltre, credo che non “si debba uscire a tutti i costi”, ma fare rilasci mirati quando riesco a rinvenire un malto che ritengo valido. La prima domanda che mi pongo quando seleziono un barile è: “Comprerei questa bottiglia?” Deve piacere in primis a me, altrimenti non la proporrei mai ai miei clienti. Cerco ovviamente di valutare anche il costo finale dell’imbottigliamento, che purtroppo è crescente a causa della scarsità di botti e delle spese accessorie, ma che personalmente cerco di quantificare in modo ragionevole.
Hai citato alcuni tra i più storici selezionatori indipendenti. Tra quelli che hanno intrapreso da poco l’attività, ti ispira qualcuno in particolare?
Indubbiamente trovo molto interessante il lavoro condotto da Whisky Agency, che sta rilasciando poche espressioni puntando sull’elevata qualità. Malts of Scotland, che considero molto, fece un investimento massivo acquistando molte botti in un periodo in cui non vi erano grossi investimenti. Avrebbe potuto essere un azzardo, invece credo sia stata la migliore scelta della sua vita. I risultati sono piuttosto evidenti a tutti gli appassionati. Ancora, Sansibar, recente come marchio ma “antico” come esperienza del selezionatore, Jens Drewitz con cui io stesso collaboro per la serie “Antique Lions of Spirits”, insieme all’amico Diego Sandrin. Jens ha un notevole background, è un piacere collaborare con lui ma anche con chiunque desideri puntare sulla qualità. Ovviamente, sono solo degli esempi, esistono molti altri indipendenti di cui ammiro il lavoro e con cui ho piacere di collaborare. Non esiste una reale concorrenza tra noi indipendenti, la nostra quota di mercato è relativamente piccola, la collaborazione può solo giovare a noi tutti, realizzando al contempo qualcosa di significativo, caratteriale, espressivo per gli appassionati a cui ci rivolgiamo.
Tornando al tuo lavoro di selezionatore, per il futuro, cosa ci riserva la tua creatività?
Ho in mente una serie di iniziative, cerco di non fossilizzarmi: un’idea potrebbe essere quella di acquistare botti giovani, ad esempio, per poi invecchiare il malto ivi contenuto in botti importanti dove lasciarlo riposare per 10, 15, 20 anni. Ad esempio impiegare alcune buone botti ex-Sherry, sempre più rare, che hanno ospitato vino di alto livello qualitativo, che possa influire sul carattere del distillato. Ovviamente, questo discorso sarebbe a lungo termine, per gli ovvi tempi di maturazione richiesti.
Mi piacerebbe continuare, poi, la serie ALOS, nel caso in cui riuscissimo a trovare altre botti espressive, caratteriali, che possano esprimere appieno l’individualità di cui prima.
Inoltre, non escludo rilasci Silver Seal in base all’evoluzione delle botti che ho in magazzino.
Oltre al whisky, altri distillati su cui pensi di focalizzarti?
Per quanto ami il whisky, recentemente ho rilasciato un Cognac single cask, di Vallein Tercinier, Maison che trovo decisamente intrigante e con cui mi piacerebbe continuare la collaborazione in futuro. Sul Rum ho un progetto, ma ne saprete di più successivamente. Il punto fermo sarà comunque la qualità.
In merito ai malti rari, quali Rosebank, Littlemill, Port Ellen etc., possiamo riporre aspettative su qualche rilascio futuro?
Laddove trovassi qualcosa di veramente interessante, come in passato, sicuramente li terrei in considerazione. Imbottigliai un Littlemill qualche anno fa, perché ritenni fosse davvero notevole. Per un malto “raro”, vale il medesimo discorso che per gli altri: se lo reputo piacevole, anzi più che piacevole, imbottiglio. Altrimenti, preferisco rivolgere la mia attenzione altrove.
Cosa pensi del fenomeno di divulgazione condotto mediante la rete? Mi riferisco a forum, siti specializzati, blogger. Credi sia utile per il consumatore?
Credo sia utile una pluralità di informazione, a patto di non auto incensarsi: se un blogger aiuta le persone, in modo autonomo e indipendente, per passione, sicuramente svolge un’attività molto utile per il consumatore. Se invece il fine ultimo è glorificare sé stessi, allora è tutto privo di significato. Fortunatamente la stragrande maggioranza di chi decide di investire il proprio tempo per parlare di whisky ed altri distillati, è composta da veri appassionati che non conducono quest’attività per ricevere elogi o per un risvolto commerciale. Tutto questo è decisamente positivo.
Ringraziandoti per il tempo dedicato a quest’intervista, desideri fare qualche ultima considerazione? Senza filtri, promesso!
Mi piacerebbe dire una cosa, che può sembrare banale, ma è fondamentale: ritengo doveroso, moralmente giusto nei confronti della collettività, che chiunque decida di operare professionalmente in questo settore, metta in regola la propria attività, pagando le tasse. Vedo troppo spesso venditori “professionali”, non mi riferisco al privato che sporadicamente desidera cedere alcune bottiglie, vendere in nero, creando un meccanismo di concorrenza sleale e al contempo integrando un grave reato, quale l’evasione fiscale. Trovo profondamente sbagliato tutto questo: impatta negativamente sull’intera Nazione, contribuendo all’aumento di un fenomeno perverso ed essenzialmente nocivo.