Sesta edizione di Spirit of Scotland – Report

Sesta edizione di Spirit of Scotland - Report
Presso lo stand di Hunter Laing

All’indomani della sesta edizione di Spirit of Scotland, credo sia opportuno redigere come di consueto le mie considerazioni sull’unico evento romano inerente il mondo del Whisky.

Partendo dai lati positivi, ho apprezzato molto il rinnovamento dell’Ufficio Stampa coordinato dal competente e gentilissimo Carlo Dutto, sempre presente per l’intera durata della manifestazione, pronto a fornire punti di riferimento in Sala, presentare espositori e curare l’esposizione mediatica della manifestazione.

In tal senso, ben presente stampa, radio e tv con partecipazione di numerose testate che hanno fornito un full coverage del festival, con interviste ai protagonisti e agli espositori.

Breve inciso: sono onorato di essere stato intervistato da Radio Deejay (breve video) e Radio Godot, di cui spero presto di potervi proporre i contenuti.

Buona presenza di espositori e affluenza di pubblico. Tuttavia, devo segnalare un aspetto negativo: ho avuto la percezione, confermata da vari espositori, che gran parte del pubblico fosse presente per la vasta area miscelazione allestita, più che per il piacere di gustare un Single Malt, un Irish o un Bourbon o un Giapponese. In alcuni momenti, per essere precisi, ho notato una certa affluenza anche presso gli stand rappresentativi di ciò che dovrebbe essere un Festival del Whisky, almeno secondo la mia modesta opinione, ma in effetti una grande fetta del pubblico, composta da giovani di ambo i sessi, affollava principalmente i temporary bar che, seppur di elevato livello qualitativo, snaturano un po’ quel che a mio parere dovrebbe essere la manifestazione, se estremizzati come in questo caso.

Insomma, bene fanno gli organizzatori a coinvolgere valenti bartender, tuttavia credo si sarebbe dovuto dare più spazio agli espositori, tra cui segnalo l’assenza di alcuni marchi di rilievo quali GlenDronach, Tomatin, le selezioni Cadenhead’s e Silver Seal, Kilchoman, Glenglassaugh che invece con piacere avevo trovato nelle precedenti edizioni (salvo quella 2016, in cui i marchi rappresentati in Italia da Beija-Flor erano comunque assenti).

Complessivamente buon numero di etichette esposte, senza tuttavia espressioni particolarmente inusuali o più difficili da reperire, salvo qualche eccezione. Indubbiamente un evento come Spirit of Scotland deve essere necessariamente indirizzato anche a un pubblico neofita, ma qualche chicca per l’appassionato “hardcore” sarebbe stata certamente gradita.

Un’ancora di salvezza è stata rappresentata, in tal senso, da alcune realtà indipendenti ancora presenti quali Hidden Spirits di Andrea Ferrari e Valinch & Mallet di Davide Romano, che di certo danno spessore alla qualità complessiva degli imbottigliamenti proposti.

Ottima anche la performance di Hunter Laing, con Scott Laing in persona a descrivere le pregevoli espressioni del marchio, tra cui gli ottimi (e molto maturi) Single Grain. Valida anche la presenza di Glengoyne, Tamdhu e Benromach.

Deludente invece la presenza di marchi iconici come The Macallan che, a onor del vero, avrebbero potuto fare di più, consentendo magari di provare gli imbottigliamenti che li hanno consacrati nell’olimpo dei malti, come ad esempio il loro 18 y.o. in Sherry, invece che presentarsi con i nuovi NAS che, seppur pregevoli, non sono all’altezza del blasone della distilleria.

Medesima situazione anche per Diageo, che ha deciso di focalizzarsi su espressioni commercialmente più diffuse come Talisker Skye, Cardhu e il popolare Blended Johnnie Walker, con giusto Lagavulin 12 e DE a fare una leggera differenza, ma senza chicche di particolare rilievo, eccettuati i malti presentati nell’ottima masterclass di Sabato a cui, per impegni personali, non sono stato presente ma di cui ho raccolto impressioni positive. Da segnalare, tuttavia, che questa situazione è presente generalmente anche al Milano Whisky Festival e non è certo una colpa degli organizzatori, ma un mancato sforzo di aziende molto solide e rappresentative nel panorama mondiale del Whisky.

Notevole l’esposizione dei bourbon e degli Irish, con Wild Turkey, Elijah Craig, Booker’s, Teeling ed altri, nonché la presenza degli inusuali prodotti di Catskill Distillery Company, di cui certamente parlerò nel breve periodo.

Buona prova anche per Whisky Club Italia che si è presentata con l’intero range di imbottigliamenti del club, decisamente molto validi e con il competente team capitanato dal duo Riva-Terziotti a fornire spiegazioni dettagliate e proporre le numerose iniziative di cui il Club è felicemente fautore.

Anche The Dalmore non credo sia stata mal rappresentata, con una line-up comprendente espressioni dal 12 fino al 18 y.o. Tuttavia, un piccolo sforzo per aprire un 25 y.o. avrebbero potuto farlo.

Buona presenza per The Glenlivet e Glenmorangie con l’intero core range in degustazione, tra cui i rispettivi top di gamma.

Medesima situazione anche per Chivas e Ballantine’s. Presso lo stand era infatti possibile degustare l’intera gamma Chivas, incluso il 25 y.o. e le tre espressioni più mature di Ballantine’s quali il 17, il 21 e il 30 y.o.

Ultima nota in merito al Collector’s Corner del competente Enrico Gaddoni che, seppur relegato in uno spazio decisamente troppo compresso rispetto alle precedenti edizioni, si è presentato con espressioni di assoluto rilievo quali Convalmore, Port Ellen, Royal Brackla, Balmenach, Pappy Van Winkle e molte altre ancora, riscuotendo un notevole successo tra gli estimatori.

Riassumendo, due considerazioni:

Bene il coinvolgimento dei bartender, che sicuramente contribuisce ad attirare le giovani leve nell’alveo del complesso mondo del whisky, tuttavia avrei preferito una minore “compressione” degli spazi dedicati agli espositori canonici, vero motore del festival a parere dello scrivente. Del resto, eventi come Spirit of Scotland dovrebbero fungere da catalizzatore per amanti ed appassionati del buon bere, consentendo ai più di provare anche espressioni inusuali da poter poi magari acquistare e sorseggiare con amici e altri appassionati. Se i più si limitano a provare un cocktail, per quanto ottimamente realizzato, può sembrare più un evento dedicato al bere miscelato, che non un festival del whisky nel senso classico del termine. Non credo infatti che manchino eventi dedicati alla miscelazione pura. Disappunto in tal senso, come detto poche righe sopra, l’ho riscontrato anche negli espositori.

Preciso che apprezzo molto il lavoro di chi, applicando correttamente l’arte del bere miscelato, realizza ottimi cocktail impiegando distillati di livello qualitativo buono, tuttavia credo fossero un po’ sovra rappresentati in quest’edizione.

Area Gourmet interessante ma da migliorare, soprattutto sul versante dei prezzi e degli abbinamenti.

Un plauso va comunque all’organizzazione, dal momento che non è facile armonizzare differenti realtà ottenendo comunque un risultato più che onesto.

Confido che queste cortesi “critiche” possano servire a migliorare un festival che, nonostante tutto, rappresenta uno dei punti di riferimento del Belpaese per quanto concerne l’amato Whisky.

Infine, maggiore considerazione verso il mercato Italiano, che ricordo essere stato fautore della grande diffusione dei Single Malt, sarebbe gentilmente gradita da parte dei colossi del settore. La percezione, infatti, è che si tenda a considerare non più il consumatore italico come un vero appassionato e fruitore, indi la presenza sottotono di alcuni brand che, consci della propria storia ed influenza, avrebbero potuto e dovuto fare di più.

Alla prossima edizione!

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4 Responses
  1. pino perrone

    Innazitutto volevo ringraziarti dell’articolo e dall’aver partecipato alla nostra sesta edizione. Poi alla fin dei conti mi sembra che dalla tua disamina i punti a favore superino i punti a sfavore, e questo ci consola, sebbene in molti casi quest’ultimi non a noi imputabili. Infine ho trovato il tuo enunciato in punto contraddittorio e ti dirò dove. In realtà, e sono dispiaciuto per chi si aspetta da noi dell’altro, il nostro non è un festival del whisky tradizionale come lo intendi tu, concetto obsoleto e rigido che non volevamo minimamente ricreare. Snaturare è una parola della quale non ho capito l’utilizzo se non associandola a degli obblighi. Certi invece dell’altissimo contenuto sociale e socializzante che ha questo fantastico distillato, cerchiamo di fornire declinazioni possibili al modo di bere conosciuto apportando il nostro stile che si basa sull’accoglienza e sull’eleganza. Pertanto non vorremmo mai avere delle coercizioni stereotipate di sorta ed è anche possibile che in futuro il nostro festival cambi di nome. Detto ciò da appassionato di single malt anch’io posso dispiacermi dell’assenza di alcuni marchi, ma questo non è assolutamente a noi imputabile e pertanto neppure ascrivibile a critica, giacché a chiunque è stata data la possibilità di partecipare. Noi non mettiamo paletti e chi non era presente ha scelto di non esserlo, decisione che rispettiamo e che non ci sogniamo neppure di criticare. Circa la qualità dei prodotti in degustazione anche qui, e in questo caso ho notato che te ne sei accorto perfino tu, non dipende dall’organizzazione e in alcuni casi degli whisky non erano presenti solamente perché non ancora in distribuzione in Italia. Ringraziamo anche noi Davide Romano e Andrea Ferrari che hanno arricchito e impreziosito il nostro festival e vorremmo che partecipassero ogni anno, ma a differenza tua non li vedo come ancora di salvezza di un’edizione che a mio parere è stata la più bella e riuscita delle sei. Simile pensiero hanno avuto moltissime persone che ho incontrato, operatori del settore e stampa, con commenti di grande entusiasmo. Il collector’s corner è stato semplicemente fantastico. Enrico ha portato delle cose stupende delle quali mi aveva avvisato. Che fosse compresso non so che dirti, con noi non si è lamentato e se non lo fa lui non capisco perché debba farlo tu. Naturalmente errori ce ne sono stati, ci rincresce che siano accaduti e colgo l’occasione per scusarmi e terremo a tesoro l’osservazione sull’area gourmet. Concludendo e giungo alla contraddizione, non si può al contempo plaudere alla presenza di bartender che movimentano le nuove leve, (solo quelle?, se si abbiamo sbagliato tutto!) e lamentarsi che la gente ci si rechi, sottraendo spazio al single malt. Io a tua differenza non ho notato codesta dicotomia di clienti perché il nostro scopo era quello di fornire visioni diverse al modo di bere classico, un’opportunità e non un obbligo. Mi sembra invece che le persone l’abbiano capito e si siano divertite ed è questo quello che più ci premeva. Comunque il prossimo anno faremo di meglio. E’ una promessa. Grazie ancora per il tuo scritto.

    1. Caro Pino, in primo luogo ti ringrazio per il il tuo commento, che immagino ti avrà sottratto non poco tempo. In subordine, per il cortese invito a partecipare, anche quest’anno, al Festival.
      Il mio pensiero in merito all’ultima edizione di Spirit of Scotland è già stato dettagliatamente esposto nell’articolo, quindi eviterò inutili e tediose ripetizioni.
      Consentimi, tuttavia, una replica in merito alle tue affermazioni e sulla mia presunta contraddizione.
      Molto semplicemente, ritengo che innovare non significhi necessariamente dover mutare drasticamente una formula ben rodata a cui ho rivolto numerosi e sinceri plausi nei report delle edizioni precedenti. (Dove, tuttavia, è mancato un tuo gradito commento).
      Bene un’area dedicata alla mixology, a patto però che questa non diventi “eccessiva” a discapito dell’area espositiva in senso stretto. Conosco molti bartender e, come sicuramente farai anche tu dato il loro elevato coinvolgimento nella manifestazione, apprezzo il loro operato e il loro contributo notevole dato alla cultura del bere. Tuttavia, come ho detto chiaramente nell’articolo, credo che un’eccessiva presenza degli stessi all’interno di un evento dedicato al mondo del Whisky, possa essere disorientante per una persona che, come me, si aspetta di partecipare ad un evento in cui Malti & Affini siano i veri protagonisti, nella forma più classica.
      Del resto, esistono una pletora di eventi dedicati al mondo della miscelazione, non credo sia necessario dedicare un’ampia porzione del vostro festival a questa tematica. Questione di punti di vista, ovviamente. Da appassionato di whisky e fruitore dell’evento, ho infatti notato che gran parte del pubblico era presente più per consumare un cocktail, che non per apprezzare uno scotch o un bourbon e ciò, un pochino, mi rattrista proprio perché eventi di questo genere, ripeto, non mancano e da un festival del whisky mi aspetto qualcosa di differente e, forse, più tradizionale. Non mi sembra che a Milano le cose vadano male, pur senza questa profonda variazione sul bere miscelato. Poi tu mi dici che avete una concezione diversa di festival, e lo rispetto, ma negli scorsi anni ho notato una maggiore affinità con il modello “canonico” che mi si confà di più, data la mia concezione “romantica” di festival che vedo come punto di incontro di professionisti, appassionati, estimatori e semplici curiosi desiderosi di provare qualcosa di affine ai propri gusti o, a seconda dei casi, di sperimentare qualcosa di diverso, all’insegna della convivialità e del confronto. E’ questo ciò che intendevo quando ho usato il termine “stravolgere”. Sicuramente il modello adottato quest’anno aiuta per coinvolgere persone desiderose di provare una variazione del bere classico basata su un buon cocktail e anche, credo, dal punto di vista degli introiti, ma non rientra in ciò che mi aspettavo io e che invece ho trovato nelle precedenti edizioni.
      Sono lieto che altri abbiano espresso il proprio apprezzamento per la commistione elevata, io però non posso farlo perché non condivido. Ho il pregio (o il difetto, a seconda dei punti di vista) di dire sempre ciò che penso, senza mezze misure. Non parlo mai alle spalle e preferisco esternare (o ricevere) una critica cortese ma diretta, piuttosto che stare in silenzio. Lieto, ad ogni modo, che la stragrande maggioranza del pubblico si sia sinceramente divertita e abbia giovato del contesto. Ho raccolto qualche lamentela da parte degli espositori ma, ovviamente, non metto in dubbio la buona partecipazione.
      Poi, certo, siete liberi di orientare il festival come meglio credete ed è giusto che facciate le vostre scelte in base al vostro pensiero, ci mancherebbe.
      Mi è dispiaciuto anche riscontrare l’assenza di numerosi distributori e selezionatori che, negli scorsi anni, erano presenti. Dal momento che mi dici che sono stati invitati, mi duole che abbiano deciso di non partecipare. Forse anche loro “intimoriti” dalla possibilità di avere un target di pubblico diversamente orientato?
      Ultimo punto: mi piaceva molto l’idea del Collector’s Corner come era stato strutturato all’inizio, in maggiore evidenza, indi la mia nota. Non rifletto certo il pensiero altrui ma unicamente il mio, tuttavia credo sarebbe stato positivo dedicargli più spazio, in virtù della competenza di Enrico e degli imbottigliamenti pregevolissimi proposti (di cui, io stesso, ho fruito).
      Certo, come tu stesso hai sottolineato, i punti a favore che ho colto superano quelli a sfavore. E’ stato per me comunque un piacere essere presente e ringrazio te e gli altri organizzatori per il cortese invito.
      Concludo auspicando che realtà come quella che avete faticosamente creato a Roma vadano ad accrescersi e migliorarsi. Fino allo scorso anno sono sempre rimasto estremamente soddisfatto, quest’anno un po’ meno ma osserverò con piacere le future evoluzioni. So bene che non è facile creare e portare avanti un evento del genere e, di certo, non ho mai manifestato alcuna lamentela in merito all’organizzazione complessiva. Un abbraccio!
      (In parte mi sono ripetuto, ma solo a fini esplicativi, mea culpa!)

  2. pino perrone

    Carissimo Giuseppe, grazie per la lunga risposta, che immagino anche a te abbia sottratto non poco tempo. Registro che abbiamo pareri differenti su come gestire un festival ma nessun problema, questa è la nostra linea, criticabile, ma tale rimane. Sono costernato d’averti arrecato un dispiacere non commentando il resoconto delle edizioni precedenti ma debbo confessarti che normalmente non leggo i blogger per mancanza di tempo. In questo caso specifico l’ho fatto poichè mi avevi anticipato che ci sarebbe stata qualche critica e ci tenevo tantissimo a sapere il tuo parere negativo. Ora che le ho lette sono più sereno poichè in gran parte non contrastavano con il nostro assunto e ci tenevo a comunicarlo. Non penso che chi abbia deciso di non partecipare sia rimasto intimorito da un target diversamente orientato come dici tu, timore che altri non hanno avuto. E comunque bisognerebbe chiedere a loro. So invece per certo che alcuni come High Spirits ad esempio non ha potuto esser presente per assenza di prodotto. Inoltre con piacere abbiamo avuto modo di avere per la prima volta un’altro indipendente Wilson & Morgan da te non citato. Infine ogni festival deve avere una sua personalità proprio per non avere degli inutili doppioni. Continuerò a partecipare ogni anno a quello di Milano perchè m’interessa, sono profondamente legato agli organizzatori, e sopratutto perché differente dal nostro. Per me la diversità non è un problema e spero non lo sia per chiunque. Un caro saluto.

    1. Caro Pino, figurati, per me è un piacere scambiare opinioni nel completo rispetto reciproco, come credo avvenga in questo caso. Evidentemente si, abbiamo idee diverse su come dovrebbe essere strutturato un festival. Io, ti ripeto, preferivo la precedente formula, tuttavia comprendo le vostre motivazioni e di certo non sono contrario all’individualità di ogni manifestazione, che frequento sempre con mentalità aperta e desiderio.
      Sarò ben lieto di osservare da semplice fruitore ed appassionato quale sono, le future evoluzioni della vostra ”creatura”, certo della vostra capacità di migliorarvi a ogni edizione.
      Prendo atto delle tue considerazioni e ti mando i miei più cari saluti, augurandoti una buona giornata. A presto!

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