Carissimi, è con grande piacere aggiornare questa sezione con una lunga e interessante intervista a Pino Perrone, Whisky Consultant dello “Spirit of Scotland”, che ringrazio sentitamente per il tempo profuso nel rispondere alle mie domande e per l’estrema cordialità.
Come nasce il tuo percorso di vita con il Whisky?
Rileggendo per la terza volta il libro di Silvano Samaroli “Whisky Eretico”, mi sono reso conto come a ognuno di noi occorra un mezzo che coincide con una passione per arrivare alla comprensione di se stessi. Per Silvano questo mezzo é stato il whisky, che l’aveva monopolizzato al punto da subirne la schiavitù per lungo tempo. Per qualcun altro questo può essere il vino, o il cibo, o il cinema, o la ceramica, il tango o non so che altro. Per altri ancora – e li ritengo i più elevati – questo mezzo é il dedicarsi al prossimo. In questo senso mi sento molto fortunato dal momento che non avendo una sola passione, posso passare a un’altra quando una cala di attenzione. E così il mio approccio con il whisky deriva da altre due passioni che coltivavo e coltivo tutt’ora e non solo le uniche, quella del vino e quella della letteratura. Un incontro con un famoso giornalista del vino nel 1991 mi cambiò l’interesse verso il liquido odoroso che avevo già da diversi anni, traghettandolo verso la qualità. Alcol per alcol scoprii i distillati e il whisky single malt nel 1992 tramite lo scrittore Manuel Vazquez Montalban con la saga del suo alter ego, il detective privato Pepe Carvalho. Conoscevo il whisky per i blended che erano regalati a mio padre per le festività natalizie, e non ci trovavo nulla che mi potesse entusiasmare. Invece rimasi incuriosito dalle descrizioni che Manolo faceva del Knockando. Decisi d’acquistarlo. Tuttavia questo whisky della Justerini & Brooks non fece in tempo a essere il primo, bensì il secondo. Infatti in maniera del tutto casuale lo precedette un Lagavulin 16 anni vecchia maniera, acquistato a Livigno e per giunta in bottiglia da un litro. Credo sia stato il primo single malt di molti, ma per il sottoscritto lo é stato non volutamente. Pertanto ero partito per comprare un Knockando e tornai a casa con un Lagavulin… non c’é che dire, una bella differenza! Da lì una serie di processi che credo siano in comune a molti appassionati e che ho trovato ben descritti nel film di Ken Loach, Angel’s Share, cercando d’assaggiare quanto più possibile, partecipando a degustazioni a tema e acquistando libri, cosa che non mi dispiaceva fare. Verso la fine degli anni Novanta con un amico – altro appassionato di whisky quanto me – conosciuto al corso di sommelier A.I.S. al quale mi ero iscritto nel 1998, decidiamo di fondare un’associazione che ha lo scopo di promuoverlo attraverso degustazioni a Roma e provincia. Si chiamava Dram side of the Moon. Uno dei whisky in degustazione era il Knockando, gli altri due/tre servivano per dare un panorama sugli stili scozzesi. Ben presto ci rendemmo conto della realtà romana. Le degustazioni si facevano ma gli esercenti confidavano, per riempirle, delle nostre amicizie. Un po’ come avviene nei pub che ospitano dei gruppi musicali i cui amici lo riempono consumando. Ben presto ci stufammo, ma non rimpiango quel periodo che ha consentito di farmi conoscere a Roma. Ora la situazione é decisamente cambiata e sono contento che altri ragazzi conducano degustazioni di whisky nella mia città. Dal canto mio posso dire che ho iniziato a farle vent’anni fa e forse tra i primi, perché svolte da appassionati, in quanto gli altri che le conducevano ancor prima rappresentavano un’azienda e i prodotti che presentavano non erano scelti da loro. Poi giunse il festival, e con quello per l’opportunità venutasi a creare, quindi il decollo. Avrei voluto fare tutt’altro nella vita, anziché il comunicatore di whisky, ma sembra che non decidiamo noi il nostro destino…
Il tuo ruolo all’interno del festival è Whisky Consultant, puoi spiegarci cosa comporta? Oltre a quel ruolo, ti occupi di altro?
Sbagliamo se consideriamo lo Spirit of Scotland e i ruoli che ci appartengono relegati solamente alla due-giorni della manifestazione. Il nostro lavoro prosegue durante l’anno con i seminari e i corsi sul whisky e altre manifestazioni. Pertanto tenendo ciò presente, il ruolo del whisky consultant consiste nel promuovere il whisky di qualità con ogni strumento possibile a nostra disposizione, d’interfacciarsi con gli operatori del settore che partecipano al festival e capire le loro esigenze, e per poterlo fare bisogna saper parlare la stessa lingua. Comprendere anche le esigenze del pubblico che é il nostro principale obiettivo, attraverso i loro gusti. Organizzare le masterclass e lo shop della manifestazione. Formulare idee per come migliorare l’evento e apportare modifiche e novità. Promuovere marchi nuovi o poco conosciuti e di valore. Attraverso la partecipazione ad altre manifestazioni, promuovere il nostro progetto. Oltre a questo possiedo un negozio dove si porta avanti il discorso dei vini cosi detti “naturali” e che io preferisco definire “autentici”, espressione di lavoratori e non investitori. Poi c’è Whisky & co, un negozio nel centro di Roma, dedicato… indovinate a cosa?
Ormai Spirit of Scotland è una realtà consolidata, ma molti ignorano come sia nata. Cosa ricordi della prima volta?
Certo che me lo ricordo. Conosco Rachel Rennie da oltre dieci anni e una volta la coinvolsi a un tasting per la Zagatti Collection uscita nel 2008 per il cinquantesimo anniversario della collezione di Valentino. Avevo partecipato alla selezione ed ero stato incaricato di redigere le note degustative in retro etichetta da parte di Nadi Fiori. Insomma, con Rachel ci frequentavamo per ciò che riguardava il whisky, inoltre lei é scozzese. Nell’autunno del 2011 passa al mio negozio, ora enoteca, dicendomi che il miglior amico di suo figlio Stefano, un tale Andrea Fofi, avrebbe voluto organizzare per il marzo seguente un festival del whisky a Roma insieme a lei. Gli dissi subito di lasciar perdere. Roma non era pronta a una cosa del genere. Molto di più lo era Milano e neppure lì il relativo festival aveva ancora funzionato. Mi chiese comunque un aiuto per indirizzi di espositori da contattare, chi distribuiva cosa, numeri telefonici, nomi referenti eccetera e mi domandò se volevo partecipare anch’io con il mio negozio, dal momento che a Roma era un punto di riferimento per quei pochi appassionati che c’erano. In primis risposi di no. Poi ci ripensai, contattai Nadi Fiori della High Spirits e gli chiesi se mi sponsorizzava. Lo fece,e così presi uno stand per promuovere i suoi prodotti. Contrariamente a quanto pensassi il festival ebbe un discreto successo, ma la cosa che più mi sorprese fu che mi piacque l’ambiente creatosi e che mi divertii. Perciò l’anno successivo mi proposi come persona che potesse aderire alla società che fu poi costituita, come conoscitore della materia poiché era necessario che qualcuno lo fosse.
Spirit of Scotland giunge quest’anno alla sesta edizione. Innovazione guardando alla tradizione degli scorsi anni, o un evento profondamente diverso?
E’ esattamente come dici. Innovazione, guardando alla tradizione degli scorsi anni. Il successo avuto l’anno scorso – non mi riferisco solo alla presenza di pubblico ma al clima conviviale ed elegante creatosi – non può essere accantonato solo per voler dare un taglio nuovo. Certo che non mancheranno delle novità. Aggiungo dicendo che ogni festival é diverso dagli altri e tutti hanno motivazione per esistere. Il nostro é improntato all’accoglienza, alla socialità che é il principale propulsore e indispensabile al bere responsabile, al divertimento e all’eleganza. Tutte le info comunque le trovate al link ufficiale www.spiritofscotland.it
Come credi si stia evolvendo il mercato mondiale del Whisky? In un panorama dominato dalle multinazionali, c’è ancora spazio per le selezioni e le distillerie indipendenti?
Non sono molto preoccupato, in quanto fatalista per natura. La dicotomia creatasi sembra sia un leitmotiv di come stanno andando le cose nel mondo. E’ vero che le multinazionali stanno sempre più accorpandosi dominando il mercato ma è anche vero che mai come ora, fatta eccezione per ciò che avvenne in Scozia a seguito dell’Excise Act a partire dal 1823, c’é fermento con nuove aperture a carattere familiare o simile. Insomma, penso sia normale in una società come la nostra che un settore in crescita sia di forte interesse delle multinazionali. Ricordo anche che senza alcune di esse il festival non sarebbe per noi sostenibile. Il compito nostro e di saper conciliare le cose. Per questo non capisco certe reazioni alla presenza di nomi che qualcuno ritiene il ‘nemico’. Sarà perché noi non ne abbiamo, ma tutti hanno diritto di parola, soprattutto se ci sostengono e così facendo consentono a certe manifestazioni di continuare a svilupparsi, all’interno delle quali noi promuoviamo la qualità. Detto ciò, mi aspetto grandi cose dalle distillerie indipendenti e se posso faccio tifo e pubblicità per loro. Diversamente, temo che il selezionatore probabilmente avrà sempre più difficoltà ad avere prodotti e pur trovandoli, di grande qualità. Sono stato tra i primi a promuoverli per via del grande impulso alla ricerca di prodotti integri, portando avanti il single cask e il non filtraggio a freddo. Ora le botti a disposizione per altri che non siano grandi gruppi o distilleria stessa scemano. Per fortuna fra le cose che avrei voluto fare nella vita – come il regista, il compositore di musica, lo scrittore e l’astronomo – non c’é mai stata quella d’essere un independent bottler. Al loro posto sarei molto preoccupato e la cosa mi dispiace molto.
Riguardo al bevitore “contemporaneo” che si approccia ad eventi come Spirit of Scotland, come lo descriveresti?
Non mi piace fare descrizioni di sorta. Posso però dire che noto quanto stia crescendo negli ultimi anni l’interesse nei confronti del whisky e con esso la richiesta di qualità. Vedete, come molti sanno, l’Italia era stata all’avanguardia negli anni Sessanta e Settanta sul consumo di whisky, consumando anche le cose fra le migliori esistenti. Non é un caso che qui nel nostro Paese e non altrove si trovino le più importanti collezioni del mondo. Successivamente abbiamo vissuto un forte calo d’interesse da parte della generazione successiva, quella di cui per nascita faccio parte. Infatti il mio interesse nei confronti del whisky non era condiviso dai miei coetanei e mi sentivo un pò uno straniero quando ne parlavo. Certamente la generazione antecedente alla mia aveva subito una sorta di fascinazione legata all’immagine cinematografica e letteraria che il whisky aveva e che a mio parere non era neppure un bel mostrare. I tumbler dove roteava ghiaccio usati da star symbol dell’epoca che cercavano oblìo e non gratificazione, é stata per lungo tempo l’immagine dominante. Sebbene sempre di distillato si tratti, la figura di chi beveva whisky era associabile all’alcolismo a differenza di un bevitore di cognac ad esempio. Ciò non ha impedito a quella generazione di italiani di poterne fruire al meglio e con una certa cultura di massa. Stavo proprio leggendo pochi giorni fa un testo di Paolo Colacicchi intitolato Il libro del whisky, pubblicato nel 1971 e di chiara ispirazione al libro scritto un paio di anni prima dallo storico David Daiches, Scotch Whisky Its past and Present, dove l’autore sosteneva che gli era capitato a Roma (parliamo del 1970) di ascoltare autisti che discutevano se era meglio il Johnnie Walker rispetto al Bell’s. Questa frase mi ha colpito. Adesso che c’é nuovamente una rinascita d’interesse anche da noi in Italia, il compito di noi comunicatori del whisky dovrebbe essere di utilizzare questa nuova attenzione generazionale per convogliarla esclusivamente verso il prodotto di qualità e che sia gratificante. Io sogno di andare a una fermata di taxi e sentire degli autisti disquisire anziché sull’opportunità o meno dell’esistenza di Uber, se é meglio un Macallan rispetto al Lagavulin.
Cosa pensi della community di appassionati che, crescendo di anno in anno, ruota intorno al Whisky? Bloggers, Forum, estimatori?
Penso sia un fenomeno inevitabile e per certi versi sia utile al movimento del whisky e alla sua divulgazione. Molte volte costoro sono talmente appassionati da fornire, salvo verifica, utili informazioni. Attenzione però ad approcciarsi con umiltà. Non sempre ciò avviene. Proprio perché i social ora danno l’opportunità a chiunque di potersi esprimere non significa che vi sia un obbligo a farlo. All’inizio mi arrabbiavo per alcune cose lette. Poi ho smesso. Continuo tuttavia a essere convinto dell’inutilità nel dare un voto al whisky degustato. Serve, il rating, più a chi lo ha emesso che a chi lo legge. La valutazione numerica che sintetizza algidamente un’esperienza fatta é sempre e per chiunque condizionata da innumerevoli fattori già elencati da me in passato, e ancora non comprendo a cosa serva. Molto meglio limitarsi a formulare una descrizione per quanto soggettiva.
Curiosità: Il tuo stile di whisky preferito?
Ecco, a differenza di molti hooligans del settore non ho uno stile o una distilleria preferita. Cerco però un qualcosa che mi faccia fare un’esperienza indimenticabile. In questo mi trovo concorde su quanto ha scritto Silvano Samaroli nel suo libro. Il whisky deve essere evocativo e non tradire la natura e i quattro elementi che l’hanno creato. Deve farti vibrare il corpo e dare piacevolezza. E’ come quando incontri la bellezza, non stai li a decodificare perché lo sia, te ne accorgi e basta. Ricerco inoltre l’armonia e la persistenza degli aromi. Un carattere una personalità e originalità e anch’io accetto il difetto se integrato. Il vero appassionato non dovrebbe amare solo un genere, non sarebbe un amante sincero. Chi ama il whisky apprezza tutte le sue declinazioni, così non ho preclusioni di sorta.
Infine, un suggerimento ai novizi: come pensi ci si debba approcciare alla degustazione di un whisky? Cosa consiglieresti, invece, ai più esperti?
Consiglio a entrambi le stesse cose perché per me non c’é distinzione. Molte volte ai corsi che teniamo durante l’anno mi capita d’imparare più dal novizio che da un iniziato. Il prossimo é il tuo Maestro, sosteneva qualcuno. Do per scontata la scelta di un bicchiere adeguato a tulipano stretto verso la fine, una temperatura di servizio idonea attorno ai 18 gradi e la non assunzione di sostanze forti prima e durante la degustazione, quali cibi salati, amari e balsamici. Anche in questo campo consiglio a tutti quello che sosteneva Silvano, di dedicare tempo al distillato. Lasciamo che esprima a dovere in tutti i suoi aromi i quali devono essere molti. Chi ha fretta non dovrebbe iniziare a degustare. Individuati quelli più evidenti, consentiamo a quelli sotto traccia di fuoriuscire. Adoperiamo entrambe le narici e non una soltanto. Le capacità sono diverse e la narice sinistra che comunica con l’emisfero destro quello del lato emotivo e femminile, sarà quello che porterà con se l’evocazione; la destra comunica con l’emisfero sinistro quello maschile, della logica e dell’analisi. Non dobbiamo neppure avere fretta di assaggiarlo. Solo quando pensiamo che é giunto il momento dovremmo farlo. E mai tutto insieme. Un lieve sorso per interessare le papille e abituare al nuovo ospite la nostra bocca. Successivamente un assaggio più deciso, cercando nuovi aromi, un’armonia fra essi. Il finale dovrà essere sempre piacevole e mai eccessivamente amaro. Valutiamone la complessità, il carattere e la persistenza, fattori fondamentali per un ottimo whisky. Ma la cosa più importante è che terminato tutto ciò dovremmo sentirci bene.
Grazie infinite, caro Pino! A domenica per la sesta edizione di Spirit of Scotland!
Antonio Parlapiano che é sullo sfondo della foto sembra una figura spiritata